Il collezionista di giocattoli

Maria Luisa Ghianda

Innumerevoli sono i giochi e di vario tipo: giochi di società, di destrezza, d’azzardo, giochi all’aperto, giochi di pazienza, giochi di costruzione, ecc. Nonostante la quasi infinita varietà e con costanza davvero notevole, la parola gioco richiama sempre i concetti di svago, di rischio o di destrezza. E, soprattutto, implica immancabilmente un’atmosfera di distensione o di divertimento. Il gioco riposa e diverte. Evoca un’attività non soggetta a costrizioni, ma anche priva di conseguenze sulla vita reale. Anzi, si contrappone alla serietà di questa e viene perciò qualificato frivolo. Si contrappone al lavoro come il tempo perso al tempo bene impiegato. Il gioco infatti non produce alcunché: né beni, né opere. (…) Questa fondamentale gratuità del gioco è appunto l’aspetto che maggiormente lo discredita.”

 

Questo l’incipit de: I giochi e gli uomini di Roger Caillois,pubblicato in Francia nel 1958,che rappresenta ancora oggi il testo di riferimento per chi voglia avvicinarsi allo studio del gioco.

 

A Napoli, nel solenne spazio dell’antico Refettorio del Convento di San Domenico Maggiore è stata ospitata la rassegna Storie di giocattoli, dal Settecento a Barbie. Tra i 1500 pezzi esposti, si potevano ammirare moltissime bambole, tra cui quella tedesca degli anni’30 acquistata da Benedetto Croce per la figlia Silvia, oltre a quelle in cartapesta della Rella, e a quelle della Furgae della Lenci, inclusa la “maschietta”, ovvero la bambola ispirata alla figura di Edda Ciano, con tanto di sigaretta pendula tra le labbra e con indosso i pantaloni, in assoluta controtendenza con i dettami dell’allora vigente Regime. C’era anche una raccolta completa della Barbie, la bambola per eccellenza del Novecento, il cui nome per intero è Barbara Millicent Roberts, compresa la mitica numero uno del 1959. E poi vi erano esposti gli automi di Seraphin Ferdinand Martin (1849-1919), il genio della meccanica che, tra il 1880 e il 1930, inondò il mercato con i suoi piccoli robot. E ancora i clown e le auto della Günthermann, l’azienda fondata a Norimberga nel 1826 che produceva giocattoli di stagno con i colori serigrafati sopra, e i bei pezzi della nostra Ingap (Industria Nazionale Giocattoli Automatici Padova), attiva dal 1919 al 1972, e poi i giochi di legno e di latta e quelli da tavolo, con un Gioco dell’Oca del Settecento, stampato a Milano dalla Tipografia Tamburini, fino ai primi Risiko e ai primi Monopoli. Non potevano mancare, proprio a Napoli, varie versioni della Tombola tra le quali ne spiccava una “didattica” con figure (un incrocio fra la tombola tradizionale, il puzzle e il nàibi), stampata a Monza nel 1928. Insieme alle carte da gioco e ai tarocchi, era esposto anche un rarissimo esemplare di Carte napoletane del 1840 con ancora impresso il timbro borbonico sopra il Tre di denari.

 

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